PNRR e linee guida AgID di design per i servizi digitali: un binomio imprescindibile (cover dell’evento organizzato da Giallocobalto)

PNRR e linee guida AgID di design per i servizi digitali: un binomio imprescindibile

Giallocobalto
il Blog di Giallocobalto
24 min readJan 30, 2023

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La trascrizione dell’intervista a Sabrina Franceschini, Claudio Forghieri e Giovanni Bertugli, ospiti dell’evento del 13 gennaio 2023

Lo scorso dicembre, in Giallocobalto, abbiamo iniziato il ciclo di incontri “Progettare l’esperienza del cittadino nei servizi pubblici”: di volta in volta ospitiamo esponenti delle Pubbliche Amministrazioni per raccogliere esperienze e punti di vista sulle opportunità offerte agli Enti dal PNRR per ripensare i propri servizi.

L’obiettivo degli incontri è quello fornire strumenti pratici alle PA che vogliono trasformare i processi di erogazione dei propri servizi, abilitandole all’istituzione di pratiche organizzative che hanno al centro l’utente esterno, il cittadino, ma anche l’utente interno, l’operatore.

In fondo all’articolo sono riportati i riferimenti ai video e alle trascrizioni di tutti gli eventi.

Il video della diretta

La trascrizione completa

Ospiti di questo incontro sono:

  • Sabrina Franceschini, responsabile dell’area programmazione e controllo dell’assemblea legislativa regionale, già referente per i progetti di E-democracy in Regione Emilia-Romagna;
  • Claudio Forghieri, consulente in materia di E-Government e Innovazione nelle pubbliche Amministrazioni, già responsabile della comunicazione e della partecipazione del comune di Modena;
  • Giovanni Bertugli, dirigente del servizio Promozione della città e del Turismo del Comune di Modena e Responsabile del portale VisitModena.

Cosa significa adottare le linea AgiD nella progettazione di un servizio digitale? Da dove si parte? Voi da dove siete partiti?

Claudio Forghieri: quando abbiamo iniziato a fare i siti del Comune eravamo noi operatori dell’Ente che ci occupavamo di definire il percorso di navigazione dell’utenza sul sito web, quindi lo sforzo per la parte di frontend consisteva nel far sì che la “sala da pranzo” si adattasse alle esigenze dei nostri interlocutori. Da quando ci sono sono le linee guida AgID, invece, il discorso è un po’ diverso: seguire le linee guida da un lato è più semplice ma dall’altro può avere delle criticità. Ad esempio, la denominazione di alcuni servizi può essere difficile da comprendere per un cittadino che deve abituarsi a questa nuova modalità.

Noi abbiamo sperimentato sia la versione 1 che la versione 2 delle linee guida. Nella seconda è stato fatto un intervento importante sull’architettura dei contenuti e sulla struttura degli stessi. In questo momento, il Comune di Modena ha iniziato a progettare sulla base delle ulteriori nuove linee guida, quelle legate al PNRR: anche in questo caso si tratterà di fare un lavoro molto importante, soprattutto dal punto di vista organizzativo. Non c’è solo un’attività tecnica, legata alla configurazione del CMS e alla struttura delle pagine: occorre intervenire a livello di architettura dell’informazione.

Per provare a rispondere alla tua domanda, ci sono due aspetti che vanno tenuti in considerazione.
Il primo aspetto riguarda lo studio approfondito delle linee guida del Team Digitale: Modena ha strutturato un planning di attività per i prossimi mesi e ha richiesto il supporto di un fornitore esterno per la progettazione. Di conseguenza, è abbastanza aggiornata sia sugli aspetti redazionali delle linee guida, sia su aspetti più tecnici.
Il vero problema è la ricaduta operativa straordinaria, che non è solo legata agli aspetti “di migrazione” dei contenuti (abbiamo visto che non è una vera e propria migrazione perché fondamentalmente si tratta di un’attività sartoriale) ma investe anche molti aspetti organizzativi legati al concetto di redazione decentrata.

Al comune di Modena, da quando abbiamo adottato il CMS, c’è stato un grande sviluppo delle redazioni decentrate e quindi di una serie di siti che, in qualche modo, vivevano di una loro autonomia, all’interno di una struttura di sicurezza che era il CMS.
Con le linee guida AgID diventa più difficile fare il redattore decentrato, anche perché appunto è molto più complicato fare il sito di settore, il sito dell’ufficio, il sito del servizio… Lo puoi fare, ma solo per quelle cose che sono standardizzate a livello nazionale, che seguono delle specifiche molto puntuali e che, spesso, richiedono conoscenze e competenze complesse. Il collega che si occupa verticalmente di qualcosa che non sia il sito fa un po’ fatica a capire. Quindi sì, potremmo dire che una delle ricadute organizzative riguarda proprio la difficoltà di avere delle redazioni decentrate in grado di curare ogni aspetto del portale, non solo le news.

Concludendo, secondo me seguire le linee guida vuol dire, da un lato, avere dei siti molto più asciutti, con meno contenuti, e dall’altro dei siti ottimizzati, ad esempio, dal punto di vista della navigazione. Però mi sento anche di dire che nessuno naviga veramente tutto il sito: tutti navigano partendo dal motore di ricerca, quindi la ricchezza dei contenuti poteva rappresentare un valore aggiunto per l’Ente. Credo che pian pianino si ridurrà drasticamente l’ampiezza di copertura dei siti per rimanere all’interno dell’area di quello che indicano le strutture AgID.

Per te Sabrina com’è stata l’esperienza rispetto alle linee guida?

Sabrina Franceschini: io porto un punto di vista decisamente diverso da quello di Claudio perché negli ultimi 20 anni mi sono occupata di partecipazione. Anzi, con Claudio ci conoscemmo proprio nella prima stagione dell’unico bando CNIPA relativo allo sviluppo di progetti per la cittadinanza digitale. È stato allora che, come Regione, abbiamo deciso di dotarci di strumenti per cercare di agevolare la partecipazione in chiave digitale e abbiamo adottato una linea di azione che si riferiva proprio a quella che oggi viene definita nelle linee guida come co-progettazione, o co-design.

Quindi, in realtà, quando sono arrivate queste linee guida, io mi sono assolutamente ritrovata con metodologie che utilizzavamo già da 10 anni in molti progetti, come il progetto a cui voi di Giallocobalto avete contribuito.

Però ecco… Forse proprio perché il nostro focus era la partecipazione, è venuto spontaneo agire in una logica di co-progettazione, acquisendo nel tempo maggiori competenze grazie al supporto anche di aziende e agenzie esterne, come è stato nel vostro caso ad esempio, che ci hanno insegnato anche tecnicamente come utilizzare certe pratiche o certi strumenti. Quindi, occupandoci di partecipazioni, le linee guida per noi non sono un “dover fare”, ma un’opportunità di trovare, in un modo più pulito ed elegante rispetto al nostro che era più “artigianale”, una metodologia con un approccio sistematico.

La partecipazione, però, è qualcosa che si deve decidere di fare. Noi abbiamo una legge regionale che la norma, ma non è qualcosa di obbligatorio, non è una legge che impone a qualcuno di fare partecipazione.

Inoltre, io pongo particolare attenzione al tema dei bisogni, sia interni che esterni all’Ente: se il mio cliente interno non è interessato, non è edotto sul fantastico mondo della partecipazione e delle opportunità, non posso ottenere il servizio da promuovere al cittadino. Domanda e offerta li devo considerare un po’ allo stesso livello perché se non ho l’offerta e ho la domanda, paradossalmente è anche peggio.

Negli anni abbiamo sviluppato anche una Comunità di Pratica a livello regionale, dando attenzione al tema della progettazione e concentrandoci sul backend della progettazione stessa.
Quando ci siamo sentiti ci siamo detti che sarebbe importante iniziare a ragionare anche a livello di backend, che è la parte che viene più sacrificata. I bisogni dei cittadini rimangono sempre il nostro faro, però le cose devono trovare una risposta anche all’interno e la risposta deve essere, in qualche modo, stimolata perché — come già detto prima — non è dovuta per legge.

Dunque, non è solo una questione di attenzione ai bisogni interni o degli operatori, ma anche di attenzione alla progettazione, nel senso di comprendere come i sistemi funzionano in backend. Magari hai un sito molto user-friendly, bello, interessante e poi quando accedi da operatore ti trovi qualcosa di poco funzionale.
Non è solo perché sono buona che tengo agli operatori di backend: se il mio operatore di backend ha difficoltà, vuol dire che non farà bene il suo lavoro e che ci metterà più tempo. Tutti i bei principi di efficienza e di economicità sui quali noi progettiamo, compresi i nostri piani della performance, si basano anche su questo.
Quindi, se nel momento in cui noi progettiamo un servizio non riflettiamo anche su chi lo deve gestire, perdiamo un pezzo. “Gestire” nel senso di facilità d’uso e piacere d’uso perché, alla fine, queste persone devono aver voglia di usare quel sistema, avere voglia di usarlo al meglio e avere voglia anche di migliorarlo. Teniamo presente che questi operatori sono i primi che possono aiutarci a muoverci in una logica di miglioramento continuo e, su questo tema, si aggancia il tema della formazione. Nel nostro pacchetto di attività la formazione è diventata sempre di più un elemento fondamentale. L’attenzione verso l’interno dell’organizzazione ha talmente tante sfaccettature che, soprattutto per l’oggetto su cui io ho lavorato in tutti questi anni, sono assolutamente strategiche: senza quello zoccolo duro mancano completamente i presupposti.

Giovanni, tu non hai il vincolo di utilizzo di AgiD, ti occupi di turismo, quindi di promo e di commercializzazione della città e del territorio. Nonostante questo hai scelto di far co-progettazione per riprogettare il portale Visitmodena. Perché?

Giovanni Bertugli: il sito di Visitmodena è stato pubblicato il 31/12/2021 e oggi è oggetto di un tagliandino di controllo dopo il primo percorso di co-progettazione. Infatti, la co-progettazione dovrebbe essere intesa su una lunghezza temporale che vede non solo la progettazione (e in questo caso la pubblicazione), ma anche la gestione. Quindi, deve essere intesa anche in un lasso temporale di medio periodo, in modo da prevedere una eventuale ri-progettazione in caso di cambiamenti esterni.

Co-progettare non vuol dire semplicemente avere uno strumento temporale definito, ma, secondo la nostra esperienza, vuol dire approcciarsi continuamente ad un modello di costruzione di valore.

Questo è il primo elemento della nostra esperienza.

Il secondo elemento che vi vorrei dare è questo: co-progettare… ma chi co-progetta? Perché purtroppo, come tutti noi sappiamo, le organizzazioni sono imperfette e noi abbiamo dei modelli teorici che conosciamo e che ci vengono sottoposti da chi ci aiuta, ma abbiamo a che fare poi con delle imperfezioni. Per imperfezioni intendo le competenze dei nostri collaboratori, le competenze di chi guida il processo (come il sottoscritto), la mancanza di tempo o di risorse, ma anche l’età dei collaboratori, perché se parliamo di tecnologia, l’età non è un elemento indifferente.
A me piace ricordare che nell’esperienza di Visitmodena una delle mie, ormai, ex-collaboratrici, che forse era la persona con meno competenze tecnologiche, ma che gestiva il vecchio sito da 10 anni, un sito che definirei silos (era un vecchio sito vetrina dove uno ci entra, ci casca dentro e rimane dentro, non esce), è diventata nel processo di co-progettazione la risorsa più grande che abbiamo avuto.

Dico questa cosa per tornare al punto del valore della co-progettazione.

Noi siamo partiti con una serie di collaboratori che lavoravano con me nel servizio promozione della città e del turismo. Abbiamo coinvolto non solo i responsabili ma anche la redazione con l’obiettivo di costruire un progetto capace di rispondere agli obiettivi attesi, anche in termini quotidiani di gestione. Abbiamo coinvolto anche i privati, ovvero il nostro soggetto di gestione, colui a cui abbiamo affidato l’informazione all’accoglienza turistica, proprio per avere un’ottica più legata alla promozione e alla promo-commercializzazione. Abbiamo coinvolto anche i colleghi perché per co-costruire non abbiamo semplicemente bisogno di fare un sito internet, ma di sederci insieme al tavolo per fare un percorso di co-progettazione.

Tutto questo ci ha portato, secondo noi, ad ottenere dei buoni risultati intesi come la capacità di porre al centro un progetto dove tutti si riconoscono e tutti contribuiscono creando valore, chi tanto, chi poco, ma in cui tutti si aprono ad un progetto.

Questo è l’elemento più importante del nostro percorso di co-progettazione che ci ha aiutato a costruire un sito di cui siamo molto orgogliosi e che risponde ai bisogni del target turistico. Siamo orgogliosi del nostro lavoro perché le organizzazioni sono sempre limitate in tempo, risorse, collaboratori. Il nostro sito ha risposto, sin dalla pubblicazione, ai nostri obiettivi, sia in termini di restituzione dell’informazione che dei servizi. Bisogna considerare il fatto che, per quanto riguarda il turismo, i siti non sono più solo siti vetrina o siti d’informazione: il turismo si è evoluto tanto e chiede non solo informazione: richiede emozione, richiede di stimolare la curiosità, richiede servizi prenotabili e immediati e di conseguenza una filiera organizzativa all’interno. Un sito turistico, oggi, richiede integrazione con altre piattaforme e, quindi, anche una certa apertura mentale.

Oggi siamo in un momento del percorso che avevamo già previsto. Come dicevo all’inizio, secondo noi la co-progettazione deve durare nel tempo perché dalla pubblicazione ad oggi sono state fatte continue modifiche e abbiamo continuato a co-progettare, ovviamente con un’intensità inferiore rispetto alla prima grande azione di progettazione. Ci eravamo dati un obiettivo di circa 12/18 mesi per fare un punto della situazione, con l’obiettivo di prendere in considerazione insight sulla funzionalità della piattaforma, sui risultati che ci ha portato, sulle metriche e su attività più analitiche in merito all’evoluzione alla domanda turistica.
Questo è, secondo me, uno dei percorsi che dev’essere fatto in una co-progettazione di medio periodo.

Abbiamo parlato di co-progettare guardando molto il dietro alle quinte, perché la parte davanti è quella che su cui in qualche modo ci siamo già focalizzati nel tempo, ma tutta la parte di filiera è altrettanto importante. Dal vostro punto di osservazione, come si comincia a organizzare il dietro quinte e perché la co-progettazione con i vostri stakeholder diventa un elemento differenziante o di miglioramento, di aiuto?

Claudio Forghieri: bisogna fare una distinzione tra servizi che nascono in modalità top-down, quindi ti arriva un finanziamento e devi fare il servizio secondo le specificità tecniche ben definite, e tra servizi che nascono per rispondere ad un’esigenza operativa di processo.

È chiaro che sono due contesti molto diversi. Nel primo caso spesso sei abbastanza costretto ad eseguire facendo un percorso che non è sempre ottimale come quello appena descritto da Giovanni, che secondo me (ho avuto modo di partecipare tangenzialmente) è stata una delle gestioni migliori che abbia mai visto dal punto di vista della co-progettazione di un servizio.

Diciamo che, spesso e volentieri, si tende a vedere la parte di frontend come elemento fondamentale per il successo del servizio. Spesso e volentieri quello che vedi è la parte che emerge dell’albero di navigazione, invece si dovrebbe porre attenzione a quello che sta sotto, quello che da fuori non si vede. Citerei come esempio, secondo me emblematico, i sistemi per la gestione delle segnalazione dei cittadini.

Qualche anno fa c’era stato un tripudio di offerta sul mercato di servizi che permettevano di avere un accesso multicanale al sistema di segnalazione. I cittadini erano fortemente stimolati attraverso l’app, attraverso il sito, attraverso tanti gadget e canali diversi, a segnalare i vari disservizi della città. Questi sistemi utilizzavano la georeferenziazione per localizzare le criticità ed erano molto belli rispetto ai siti del momento. Il problema è che dietro erano “nudi”: la parte di gestione a valle della segnalazione era marginale.
Quindi le amministrazioni che hanno investito su strumenti di quel tipo, forse affascinate dall’aspetto colorato dell’interfaccia, poi si sono ritrovate con l’effetto opposto: nel frontend continuavano ad accumularsi segnalazioni non gestite perché dietro, sia dal punto di vista organizzativo (di gestione del workflow) che tecnologico le cose non funzionavano a dovere.

Quindi mi sento di dire che il tema dell’interrogarsi subito su che cosa comporterà l’offerta di qualcosa online rispetto a quella che è la definizione dell’operatività interna è un elemento fondamentale. E non è possibile applicare una modalità esclusivamente top-down: devi per forza di cose andare a parlare con chi gestirà quello che arriva. Chi filtrerà? Questa persona a chi manderà le varie segnalazioni? Come sarà l’organizzazione della risposta rispetto alle varie segnalazioni? Alla gestione dei flussi deve corrispondere una gestione digitale: se sono due mesi che il tecnico del verde ha la segnalazione di un albero cadente a cui non ha mai risposto è necessario che si accenda una bandierina. Ecco perché questo elemento della ricaduta operativa e della ridefinizione dei processi è assolutamente fondamentale.

Se ho ancora un minuto a disposizione, mi permetterei di fare una proposta che non sono mai riuscito a realizzare da nessuna parte… quindi ammetto che è un volo pindarico.

Secondo me abbiamo fatto un grande passo avanti con l’istituzione del Responsabile della Transizione Digitale (RTD). In questo momento abbiamo la fortuna (dove il responsabile c’è davvero, dove c’è qualcuno che ha effettivamente quel ruolo) di avere una sorta di ponte, una specie di agente segreto di quella che adesso è la grande struttura della digitalizzazione della PA. Credo che sia la prima volta che esiste una struttura veramente condivisibile (e finanziata), di questo tipo.
La realtà, però, è che, nella maggior parte dei casi (e ne ho visti ormai tantissimi), l’RTD è nudo.

Il vero problema è capire cosa comporterà l’attivazione di azioni finanziate per fare il sito AgID a livello di redazione, a livello di gestione dei contenuti, a livello di flussi anche automatici. Qui non basta più il Responsabile per la Transizione Digitale, a meno che non sia un mago. Immagino che la cosa migliore sarebbe avere una sorta di Digital Innovation Team.

Mi ricordo di averlo ritrovato in alcuni paper su come si organizzarono le grandi multinazionali per affrontare la digitalizzazione.
Potrebbe essere il famoso ufficio dell’RTD allargato? Al cui interno, però, servirebbero delle competenze diverse perché ci vuole sì la competenza informatica legata al digitale, ma ci vuole anche quella giuridica, così come un approccio risolutivo. Mi spiego meglio. È necessario un approccio che vada oltre il problema, non quello che ti entra nella PA e dice che non si può, che non è possibile: ci vuole la figura che studia il CAD e tutta la normativa e cerca di utilizzare queste conoscenze per far le cose meglio. Ma non basterà solo questo: servono competenze di riorganizzazione di processo e di pianificazione multicanale. Questo è un altro elemento che spesso viene dimenticato: arriva il finanziamento per il sito AgID e ci si dimentica che quello stesso sito dovrà integrarsi con altri sistemi e altri canali di comunicazione.
A tutto questo, poi si affiancano le competenze verticali. Ecco perché un’innovazione di questo tipo la affronti con un team allargato.

E non bisogna dimenticarsi di una cosa: ci sono servizi digitalmente “forzati” e servizi multicanale. Un esempio di servizio forzato è l’iscrizione a scuola per la quale è stato deciso a livello nazionale il flusso digitale: non c’è bisogno di promuovere quell’informazione, sei obbligato a seguire il percorso online. Nella maggior parte dei casi, però, continuiamo ad avere ancora i servizi a doppio, triplo, quadruplo canale: sono quei servizi per cui devi andare allo sportello, poi fare un passaggio online e così via. In questi casi è antieconomico produrre solo nuovi canali.

Il problema dell’amministrazione è fare in modo che il maggior numero di persone vada verso il canale più efficiente, sia dal punto di vista della customer satisfaction, sia dal punto di vista della gestione interna.

E qual è il canale più efficiente normalmente? Quello online.

Ogni qual volta fai partire un progetto il tuo team deve arrivare dentro al servizio, ad esempio l’anagrafe, e lavorare sull’ottimizzazione dei processi in modo che sempre meno cose siano gestite allo sportello e sempre più cose si possano fare online. Ma il lavoro del team non si ferma qui perché questa informazione deve arrivare anche al cittadino e questo significa che sul quel cambiamento è necessaria un’azione di marketing. Quindi, si chiama un collega che si occupa di marketing e comunicazione e si chiede: “allora, come facciamo a fare in modo che sempre più persone utilizzino i citati certificati digitali invece di fare la fila allo sportello?”

Per scalfire la cultura del cittadino che per cent’anni è andato all’anagrafe hai bisogno di un lavoro di comunicazione straordinario. E non è un lavoro one shot: è martellante e continuo. Anche perché all’anagrafe il cittadino va solo quando ha bisogno. È in quel momento che gli deve arrivare l’informazione che lo stimoli a spostarsi online. Con il tempo sempre più cose saranno accessibili online, ma ad oggi non è così. Non è così neanche nelle grandi città, figuratevi nei centri più piccoli, no? Queste azioni di marketing restano fondamentali.

Devo dire che hai sempre una visione molto chiara del panorama e del sistema. Hai sollevato due punti interessanti. Uno è quello del team di innovazione: è necessario che sia persistente perché, come diceva prima Giovanni, nel seguito dovrà continuare a co-progettare. L’altro tema è quello dell’ingaggio degli stakeholder perché hai bisogno di più interlocutori: hai il marketing, la comunicazione e chi è esperto di dominio.

A questo punto, come si crea un team che porti avanti l’innovazione e come si agisce per tenere ingaggiati gli stakeholder?

Giovanni Bertugli: provo sempre a fare un po’ riferimento alla nostra esperienza, perché credo che sia comune a tante organizzazioni. Non abbiamo solo il canale che può essere il progetto, il finanziamento, il target di riferimento e l’organizzazione. Abbiamo anche delle pressioni interne, rispetto a tempi e modalità.

Ora io lavoro per il turismo, ma credo che valga anche per i siti… tutti sono “esperti di turismo”, tutti sono “esperti di tecnologie informatiche”, no?
Nel sistema di committenza c’è una tendenza ad avere degli attori che co-progettano ma che non hanno il titolo perché non sono tecnici oppure non hanno le competenze o non sono sistematicamente chiamati a fare questo.
Questo per dire che anche l’idea di trovare nelle Amministrazioni un’organizzazione stabile che riesca effettivamente a portare questo approccio culturale è un punto fondamentale.

Quando scendiamo a livello verticale di servizio, quindi quando c’è il responsabile del servizio che comunque deve governare il processo, credo che ci sia un altro elemento importante: si deve capire che molte volte il successo delle persone non è il successo del prodotto-servizio. Se il responsabile del servizio si trova in una condizione in cui deve necessariamente accontentare tutti gli stakeholder, è probabile che non arriverà ad un risultato efficace, per questo bisogna fare delle scelte.

I progetti hanno sempre bisogno di un leader che sia capace di fare scelte anche a dispetto delle soluzioni più semplici. Non basta prendere su tutto, shakerare e restituire un prodotto che vada bene a tutti solo perché come responsabili abbiamo pressioni continue in termini di tempo. Lo facciamo subito perché il risultato è arrivare presto e dire che l’abbiamo fatto.

Mi ricollego al tema del team di innovazione e delle competenze: ciò che manca è la capacità di osmosi delle esperienze tra le stesse persone che fanno parte del team o tra le aree dell’amministrazione.

Per esempio, il sito del turismo si colloca in un mercato competitivo e in cui si stimola la scelta del cliente: se scelgono me, non scelgono altri. In generale, l’utente è messo nella condizione di scegliere cosa fare e cosa no, può visitare Modena o può non venire a visitarla, può prenotare un servizio oppure no, ma non è obbligato [come può esserlo per una pratica comunale].
Diciamo che impone una progettazione capace di porsi come obiettivo la capacità di attrarre, di stimolare, di dare delle suggestioni, delle emozioni anche attraverso un sito internet. E questi sono elementi che credo sia importante condividere con chi si occupa di fredde procedure amministrative digitalizzate. Questo intendo per capacità di osmosi.

Condividere le modalità di raccontare, la capacità di rappresentare la multicanalità, di mettere a disposizione gli strumenti a chi deve comunicare ad un cittadino o ad un’impresa come si chiede un’occupazione di suolo pubblico o un dehor.

Condividere informazioni più calde con chi si occupa di informazioni fredde, mettendo a disposizione le conoscenze e gli strumenti. Questa, secondo me, è la vera sfida culturale e organizzativa per tenere insieme la capacità di lavoro congiunto e di crescita tra segmenti dell’amministrazione.

Continuando a parlare di team… Sabrina voi avete un team innovazione diffuso, che sono le Comunità Tematiche regionali, nate ormai parecchi anni fa. Come avete creato tutto questo? Come gestite gli stakeholder e il rapporto con loro?

Sabrina Franceschini: sono molto d’accordo con quello che dice Giovanni perché anch’io non mi occupavo di progettare e offrire un servizio sul quale c’è un monopolio (e quindi una mancanza di scelta del cittadino) come può essere un’anagrafe. Giovanni però alla fine dell’anno può vedere se i visitatori di Modena sono aumentati o diminuiti e ha un indicatore molto chiaro e facilmente misurabile che può mettere in relazione con la sua capacità di promuovere il territorio.
L’anagrafe non funziona allo stesso modo. Un’anagrafe può conoscere il gradimento dei cittadini grazie a qualche indagine, ma se non fa una valutazione di un certo tipo non sa quanto il suo operare è stato efficace per i suoi utenti.
I Comuni non devono pensare che la soddisfazione del cittadino non abbia conseguenze: il cittadino che perde fiducia nell’amministrazione va ad erodere il valore pubblico e tutto questo ha un costo economico. Dove il “cliente” ha un’alternativa lo perdiamo mentre un cittadino che non ha alternative continuerà a venire, ma continuerà a venire più arrabbiato.

Tornando al tema dei gruppi di lavoro… mi avevi chiesto “con che caratteristiche scegli”?

Siamo partiti con i progetti di E-government 10 o 20 anni fa. A quei tempi abbiamo costruito le Comunità Tematiche facendo un grande lavoro di co-progettazione. Io ormai sono distante dal mondo delle comunità tematiche, però si, nacquero davvero dei team con una progettazione di attività ben definite. Attività che avevano come obiettivo iniziale quello di costruire insieme proprio queste comunità. Così come abbiamo fatto noi sulla comunità di pratica della partecipazione: partendo da un piccolo nucleo, in maniera incrementale, la comunità si è via via allargata.

Come costruisco un gruppo di lavoro? Come costruisco una comunità tematica e una comunità di pratiche? Secondo me, anche in merito a cose di cui abbiamo discusso oggi, il primo elemento fondamentale è che ci sia interesse da parte degli stakeholder. Nel mio caso si tratta di co-progettare uno spazio di partecipazione, per questo le prime persone che io vado a coinvolgere sono proprio gli owner di policy che possono avere interesse ad utilizzare quel determinato servizio.

Poi naturalmente c’è tutto il tema dei settori trasversali, come hanno detto anche Giovanni e Claudio.

È evidente che per ogni servizio arriverà il momento di promuoverlo all’esterno, quindi tutti quei settori trasversali che vanno dai sistemi informativi alla comunicazione o al settore giuridico vanno coinvolti fin dal principio.

Io lavoro in un’organizzazione molto grande. Noi viviamo un po’ questa situazione che da un lato è di una “grande organizzazione” con tante linee guida e regole che ti vincolano molto più delle linee guida AgID, e dall’altro è fatta di tanta gente, tanti colleghi che per sfuggire alle tendenze di monopolismo interno si sono sempre portati avanti i progetti per conto loro. Perché ci sono le linee guida, le regole e le circolari, ma non ci sono sanzioni e quindi “tutto il mondo è paese”… anche dentro una grande organizzazione funziona così.

Io ho sempre cercato di agire dall’interno: se la regola interna mi dice che devo usare quel CMS, non cerco di usarne un altro aggirandolo “perché tanto non succede niente”. No, cerco di interloquire con i colleghi che gestiscono quella cosa e di vedere se, attraverso un processo fatto di dialogo e contrattazione, si possono trovare delle strade condivise.
Molti dei progetti nati con questo approccio, sono diventati poi degli apripista. Perché, in realtà, dall’altra parte non è detto che ci sia il grigio burocrate che ti dice “no, devi fare così”, ma ti ritrovi persone che dicono “guarda, vediamo, capiamo”.
Penso, ad esempio, alla strong authentication con i vari profili: noi l’abbiamo messa per primi nel sito della partecipazione. È chiaro che quando siamo andati a proporre sistemi informativi una cosa che non si era mai fatta, c’erano dei dubbi. Però abbiamo parlato, l’abbiamo fatta e a seguire è stata aggiunta anche in altri siti.

Chi vuole cambiare non deve avere paura di affrontare chi quella regola sta cercando di farla applicare, ma neanche arrendersi in partenza. Le regole, come le leggi, si possono sempre modificare. L’innovatore deve combattere l’atteggiamento di dire “no, non lo possiamo fare” o “la legge ci dice di fare così”, cercando di portare avanti proposte su tutti i livelli, sia organizzativi che normativi.

Se al primo posto ci sono l’interesse degli stakeholder e il coinvolgimento di settori trasversali, al secondo posto c’è la motivazione perché se devi fare gruppo di lavoro, un team, le persone devono essere motivate a partecipare. Per questo non approvo il metodo di chi scrive al direttore o al dirigente chiedendo “mi indichi qualcuno dei tuoi per fare questa cosa?”, perché nella maggior parte dei casi ti indicherà qualcuno per ragioni che non sono quasi mai la motivazione di quella persona a lavorare a quel progetto. Tante volte non è nemmeno la persona più competente su quella materia.

Noi abbiamo sempre agito in modo un po’ diverso, coinvolgendo gli interlocutori che secondo noi — partiamo dal presupposto che conosciamo le persone all’interno dell’organizzazione — potevano avere un interesse, una motivazione a partecipare. Noi facevamo una proposta, poi c’era il passaggio formale. Per mia esperienza il meccanismo di designazione top-down non funziona quasi mai.

Al terzo posto, metto le competenze: non perché non siano importanti, ma perché se ci sono l’interesse e la motivazione, le competenze le vai a sviluppare.

Ecco, questa è la mia graduatoria di quello che serve per formare un team efficace.

Claudio Forghieri: se posso aggiungere una considerazione più generale che non ho fatto prima, devo dire che apprezzo molto alcuni elementi di generalizzazione dell’approccio ai contenuti digitali che troviamo nelle linee guida AgID. È vero che da un lato diventa tutto un po’ più monotono e noioso, ma dall’altro tutta questa ricchezza di metadati e di strutture in qualche modo coordinate rappresenterà, secondo me, un grande valore aggiunto.

Faccio una domanda provocatoria. Supponiamo di essere l’amministratore delegato di una multinazionale che ha degli uffici di vendita in tutto il mondo: gli uffici fanno tutti le stesse cose ma devono adattarsi alle normative locali (magari l’IVA è un po’ diversa, la lingua è diversa, ci sono norme della privacy specifiche). Secondo voi l’amministratore delegato della multinazionale fa prendere in ogni sede nazionale un impianto tecnologico diverso oppure dà indicazioni per gestire tutto su un grande sistema e poi eventualmente delegare le piccole decisioni?

Ecco, quando vedo uscire la linee guida mi faccio questa domanda: ha ancora senso vincolare migliaia di comuni, migliaia di amministrazioni, migliaia di fornitori a “piegarsi” a linee guida? Forse non avrebbe più senso cercare di fornire strumenti di governance tecnologica più centralizzata? Anche in questo senso sicuramente ci troviamo in una fase di grande transizione che comporta un grande dispendio d’energia, ma non bisogna perdere di vista l’obiettivo. L’obiettivo finale deve essere quello di avere gestioni sempre meno localizzate e campanilistiche e sempre più con una governance e una visione di sistema. Io mi auguro che si continui ad andare in quella direzione. Quindi ogni qualvolta ti trovi, a livello organizzativo, a dovere scegliere fra l’opzione campanilistica (perché suona meglio, viene meglio, è più gradita) e l’opzione di sistema devi prendere in considerazione anche il vantaggio di sistema.

Questo fa il paio con quello che diceva prima Giovanni sul ruolo della leadership. In questi progetti ci vuole qualcuno che si prenda la responsabilità di fare delle scelte. Altrimenti fai tutta la co-progettazione, coinvolgi i vari pezzi degli uffici, settori, servizi e tutti gli stakeholder di cui c’è bisogno, ma se non hai chi fa le scelte succede quello che si diceva prima: per rispondere a tutte le esigenze che sono uscite ti viene fuori un blob incomprensibile.

(dal pubblico)

“Dal punto di vista dell’organizzazione interna, quale tipo di struttura, ruoli, responsabilità e procedure avete implementato? Come suggerite di procedere in tal senso?”
È una domanda abbastanza strutturata. Dal punto di vista dell’organizzazione, Sabrina, come vi siete strutturati in termini di ruoli e responsabilità, visto che parlavamo appunto di responsabilità sullo staff?

Sabrina Franceschini: a far partecipazione eravamo un gruppo piccolo all’interno di un settore più grande ed eravamo sostanzialmente al servizio delle altre strutture regionali. Il responsabile dei gruppi, o il dirigente, spesso non è come il responsabile della multinazionale che sceglie i suoi collaboratori. Noi raramente siamo nella possibilità di costruire una squadra in termini organizzativi selezionando le persone che vogliamo. Non dobbiamo vederlo solo come un problema perché, come si diceva, le competenze e tutta una serie di cose si costruiscono dopo. Sta nella capacità del leader il far crescere le persone e vedere quali sono i talenti che si possono coltivare.

Però proprio per questa ragione io dico che metto sempre al centro il tema del bisogno. Perché anche quando si tratta di un progetto dovete sempre pensare: “qual è il vostro bisogno”? Il mio bisogno era proprio questo: poter lavorare con persone che avessero competenze che non avevo dentro i miei gruppi. È lì il seme del dire che lavoriamo in rete, lavoriamo in una comunità tematica, in una comunità di pratiche. Perché se sei dentro una pubblica amministrazione in cui tu non riesci quasi mai a disegnare la tua squadra come vorresti e hai alle spalle una comunità, allora sì che puoi andare sul mercato e attirare talenti sulla base della proposta progettuale che fai.

Giovanni Bertugli: partendo dalla domanda pongo due tipi di riflessione.
La prima è che, nella costruzione della squadra, mettendo al centro la metodologia e la co-progettazione, ci sono ci sono due aspetti da valutare.

Co-progettare di fatto apre all’organizzazione ed evita la persona sola al comando, però anche dentro alla stessa organizzazione non tutti possono co-progettare, perché c’è il rischio poi di scivolare in un generale coinvolgimento di tutti.

Quindi bisogna trovare il limite da non superare, altrimenti il gruppo diventa ingestibile.

La seconda riflessione che faccio è che se pensiamo invece alla costituzione di staff a servizio dell’organizzazione allora la questione cambia. I progetti che hanno visto dei buoni successi all’interno di staff trasversali che dialogano costruendo valore con le aree verticali e con gli altri settori non sono tanti. Questo è un po’ un limite: non è semplice trovare una soluzione efficace perché alla fine poi si cade sempre nel guardare all’obiettivo del progetto e non alla crescita culturale dell’organizzazione. È un bel punto di domanda… nel senso cheoccorre sempre partire dall’organizzazione in cui ci si trova e poi valutare di conseguenza (le organizzazioni sono sempre complesse e diverse). Quindi il mio consiglio nel caso della costituzione di uno staff di servizio è di fare una valutazione strategica della struttura organizzativa reale, non formale.

Prima, Claudio, dicevi che abbiamo delle gabbie nelle linee guida.
La domanda dal pubblico è “I contenuti non pubblicati che non riescono ad entrare nelle gabbie delle linee guida non diventano uno svantaggio per i cittadini? Quindi, non ci stiamo perdendo qualcosa a causa di queste gabbie?”

Claudio Forghieri: io penso di sì. L’approccio delle linee guida crea un denominatore comune, assolutamente condivisibile e positivo per la PA italiana, ma nello stesso tempo tende un po’ a tagliare le cime di quelli che avevano siti web fin dalla metà degli anni 90. Sicuramente in questi siti ci sono tante informazioni e a volte si creano silos magari non più aggiornati che vanno ripuliti.

Guardate che questo è un grande salto cognitivo: c’era un tempo in cui le cose importanti erano su carta e poi qualcosa la si metteva online. Adesso è il contrario: nelle organizzazioni che funzionano le cose importanti sono tutte online e su carta c’è solo quello che ti serve. Allora è chiaro che se non sai dove mettere certe informazioni sul sito, perché la gabbia è molto stretta, rischi di far sprofondare le cose o addirittura di non riuscirle neanche a gestire. Quindi cominci a buttar via cose.

Ad AgID chiederei: “ma tutti i siti, i domini non istituzionali che stanno venendo fuori come funghi, come li trattate?”. Perché, alla fine il risultato sarà di avere una serie di siti fotocopia con tutte le informazioni giuste che servono e poi un proliferare, a seconda delle risorse economiche a disposizione, di siti con domini strani che rispondono a bisogni specifici (dell’istituto culturale, del museo, della risorsa che ha delle esigenze che non riesce a comprimere all’interno di una gabbia rigida) e quindi cambierà lo scenario. Di certo non si torna indietro.

Vi ringrazio tantissimo per i vostri interventi e per la passione che mettete in quello che fate, perché si sente.

A tutti, diamo appuntamento al prossimo incontro in cui parleremo proprio di onboarding delle persone da coinvolgere nel servizio. Un po’ quello che aveva iniziato ad accennare Sabrina all’inizio del suo intervento.

La trascrizione di questo incontro fa parte del ciclo “Progettare l’esperienza del cittadino nei servizi pubblici”:

  • Cogliere la sfida di offrire servizi digitali nell’era del PNRR
    Ospiti: Barbara Santi, Matteo Bolis e Sandra Lotti
    2 Dicembre 2022
  • PNRR e linee guida AgID di design per i servizi digitali: un binomio imprescindibile
    Ospiti: Sabrina Franceschini, Claudio Forghieri e Giovanni Bertugli
    13 gennaio 2023
  • Onboarding: come includere le persone dell’Organizzazione nei processi di innovazione e digitalizzazione
    13 Febbraio 2023
https://giallocobalto.it/

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