L’intervista perfetta… o quasi!

Serena Saponaro
il Blog di Giallocobalto
4 min readMar 30, 2020

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Qualche settimana fa un amico mi ha scritto per chiedermi se avessi un modulo pre-compilato per le interviste che faccio per la progettazione dei servizi. Lui è un ricercatore di ingegneria meccanica ed aveva bisogno di una guida per redigere delle domande da porre agli operai che useranno una macchina con una nuova interfaccia.

In un primo momento ammetto di essere stata snob pensando “tsè, non uso mica un modulo pre-com… mmm… aspetta!” e da lì ho tirato fuori una serie di riferimenti, link e libri perché ovviamente ho preso questa attività come missione primaria della mia esistenza.

Partiamo dal presupposto che no, non esiste uno strumento unico e fare delle domande alle persone non è facile, ma chi non ha un riferimento rischia di non ottenere quello di cui ha bisogno e per un progetto non è auspicabile: significherebbe compiere scelte non verificabili.

L’obiettivo non è spremere per fini subdoli (ahimè) chi viene intervistato; l’intenzione è quella invece di mettere a proprio agio e fare in modo di ottenere informazioni che possano veicolare il progetto verso un risultato soddisfacente per gli utenti. Bisogna pensare a domande mirate, ragionate e puntuali per fare in modo che gli intervistati possano fornire informazioni che probabilmente non condividerebbero con domande “casuali”.

Esiste un momento giusto all’interno del processo di design in cui svolgere le interviste?

No, è usato principalmente nella fase esplorativa o, nel double diamond, la cosiddetta parte divergente della ricerca quando il progettista necessita di una visione con lo sguardo degli utenti attuali e/o futuri. Nonostante venga usato nella parte iniziale, è però molto utile anche per confermare le scelte progettuali che si stanno compiendo durante il percorso; viene inoltre utilizzato nella fase finale del progetto quando bisogna tirare le somme e verificare se quello che si è fatto va migliorato o meno.

Come strutturare un’intervista

L’intervista è tendenzialmente composta da:

FASE 1

Scelta delle domande. Inizio partendo col chiedermi: cosa ho bisogno di chiedere a queste persone? Cosa penso che mi risponderanno? Personalmente ritengo che questa sia la parte più difficile e, come dicevo, fare le domande giuste non è sempre facile. Una strategia è quella di evidenziare i temi che mi interessano e scomporli in piccoli pezzi così ho più chiara qual è l’informazione di cui ho veramente bisogno. È proprio la chiarezza il punto chiave: più le mie idee mi sono chiare, più sono in grado di formulare le domande in maniera comprensibile.

FASE 2

Icebreaker e introduzione. È importante far sentire a proprio agio l’interlocutore esponendo gli obiettivi dell’intervista ed alcune importanti rassicurazioni, come ad esempio che non esistono risposte giuste o sbagliate. Sono consapevole che anche il mio linguaggio non verbale verrà notato: come io osservo l’intervistato, anche lui osserva me perciò faccio in modo di non incrociare mai le braccia oppure di non aggrottare mai la fronte, cerco di essere neutrale.

Intervista. Mi concentro sul come mi pongo prediligendo le domande aperte, cercando di non porle in modo che possano suggerire la risposta, mi sforzo di cogliere le sfumature di ciò che mi viene detto e ciò che l’interlocutore mi sta raccontando con il linguaggio del corpo ma soprattutto: ascolto e lo faccio veramente! Se è necessario, rimodulo le mie domande in base a quanto già emerso, non serve seguire un copione rigido.

Conclusione. La parola “infine…” rassicura che l’intervista volge al termine, solitamente con domande meno aperte di quelle centrali. I ringraziamenti ed il congedo non sono da dimenticare per trasmettere all’interlocutore la gratitudine per il tempo che mi ha concesso.

Oltre alle interviste standard esistono le “Contextual interviews”, citate nel libro This is Service Design Thinking, differenti da quelle normali perché sono interviste condotte nel luogo in cui avviene l’interazione fra l’utente e lo strumento che utilizza. Sono importanti quando è necessario capire anche il comportamento fisico: ciò che l’utente potrebbe comunicarmi più facilmente attraverso i suoi gesti e non attraverso il racconto di essi.

Per spiegare il titolo di questo testo, cito Manuele Forcucci che nel webinar di Architecta “Intervista come tool di design” di qualche giorno fa ha affermato:

“Non esiste l’intervista perfetta, faremo sempre errori come ricercatori”.

Questo non vuol dire che dobbiamo sentirci giustificati in qualità di progettisti oppure partire col piede di guerra in qualità di clienti o intervistati recriminando gli errori del ricercatore! Siamo tutti umani ed in quanto tali impariamo dall’esperienza e per condurre interviste (quasi) perfette questo tassello è fondamentale.

Per maggiori approfondimenti potete trovare di seguito alcuni link utili:

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Experience & Service designer @Giallocobalto — Mi occupo di varie fasi del processo progettuale: user research, workshop, mappe, architettura informativa, UX/UI