L’app Immuni e le Persone immuni all’App

Massimo Azzolini
il Blog di Giallocobalto
4 min readApr 27, 2020

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Uno straccio di contesto

Il 4 maggio ci è stato promesso che potremo finalmente uscire di casa, ma sarebbe cosa buona tenere sotto controllo il contagio.

La “soluzione” è stata: “gli italiani installino un’app che tracci i loro spostamenti e li avverta nel caso in cui siano stati in prossimità di persone positive”.

In realtà la “soluzione” è stata l’accettare la proposta di Bending Spoon di realizzare Immuni gratuitamente.

Ovviamente sono giorni che non si parla altro che di privacy, i dibattiti sul controllo sociale spopolano, così come i post a favore dell’una o dell’altra posizione, fino a sfociare in accuse e smentite sulla professionalità della cordata che la realizzerà.

e le Persone?

Come spesso accade in questi casi si pensa immediatamente alla soluzione, si pensa principalmente ai “need” del committente e si perdono di vista le persone che dovranno utilizzare il servizio.

Perché è chiaro che anche questo è un servizio, right?

Il servizio prevede di convincere 60.000.000 di italiani ad inserire i propri dati sanitari personali in una piattaforma, ben consci che questi dati saranno analizzati e che saranno utilizzati per allertare altre persone.

Solo a me fa sorridere questo velleitario proposito?

Esattamente come per tutti i servizi, occorre agire su due fronti: progettare il servizio e progettare come avvicinare le persone al servizio. Questa seconda parte è pressoché assente.

Da qui è normale che escano dubbi, sospetti, dinieghi ed è plausibile che il numero di defezioni sia abbastanza alto, talmente alto da porre a rischio l’intero progetto.

Ci sono casi “Immuni” ovunque

Penso di aver perso il conto delle volte che mi è stato detto “abbiamo fatto una intranet, ma non la usano” oppure “c’è il servizio online, ma la gente viene lo stesso di persona o telefona”.

Io stesso per anni mi sono concentrato sul realizzare la miglior soluzione software possibile: sito, intranet, servizio web. Ho approfondito come migliorare l’interfaccia, l’usabilità e l’esperienza, come far lavorare al meglio il team e come coinvolgere il cliente.

Per anni ho mancato il punto, poi ho studiato come avviene la progettazione dei servizi e “ah-ahhh” tutto chiaro.

In effetti era tutto davanti ai miei occhi sin dagli anni ‘90 quando da universitario uscivo per locali con gli amici. I locali avevano l’arredamento giusto, la musica giusta, la birra giusta, ma dovevano esserci le motivazioni giuste altrimenti non si entrava.

Senza un’aspettativa adeguata di vantaggio o appagamento personale, le persone non iniziano neppure il journey di un servizio. Certo, si possono sempre obbligare, ma chiaramente dire che sia un approccio poco efficace sarebbe un eufemismo.

Ho capito che in ogni servizio ci sono sempre due momenti: convincere le persone che avranno un’esperienza memorabile (o almeno positiva) e soddisfare la promessa. Ognuno ha scopi e obiettivi differenti, ma devono entrambi essere progettati.

Come approccio oggi il problema?

Beh, il Design thinking e il Service Design sono due ambiti consolidati: tante esperienze e casi di studio, tante buone pratiche, tanta letteratura, metodologie stabili e al tempo stesso in evoluzione.

Ho spostato l’attenzione dal “realizzare soluzioni per i miei clienti” al “pensare a soluzioni adatte alle esigenze delle persone”.

Il punto cardine sono quindi le persone, il farsi domande su come ragionano, l’entrare in empatia con loro: quanto è forte il bisogno personale di sicurezza dalla pandemia? quanto è percepito? va rafforzato prima di chiedere in cambio una parte della privacy personale? nel caso, come lo rafforzo?

Domande simili ce le potremo porre quando si progetterà, ad esempio, il futuro sistema di smart working per le nostre aziende: i miei collaboratori amano lavorare da casa? tutti o solo alcuni? posso mantenere l’efficienza dei gruppi di lavoro con mix casa/ufficio? quali tipologie di mix posso mettere in pratica?

Dobbiamo scegliere le domande: le soluzioni avranno senso solo se rispondono a quelle domande.

Ultimamente, nelle community di designer si sta cominciando ad andare oltre il concetto di Persona. Ad una certa granularità si può pensare di progettare per sistemi di persone e quindi analizzare comportamenti e dinamiche di gruppo.

Il punto rimane però lo stesso: se pensiamo di progettare e realizzare un servizio o un prodotto sulla base dei “secondo me” e dei “io voglio che” ci stiamo prendendo dei rischi.

O meglio, vi state prendendo dei rischi, perché io ho smesso ;)

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